La conoscenza personale di Renato Calligaro, che poi si sviluppò in una bella amicizia e collaborazione, avvenne attraverso un suo ciclo di lezioni sull'arte aperte al pubblico, dentro locali dell'Università di Udine. Questa collaborazione implicò per me un deciso sbilanciamento verso le questioni teoriche, per le quali mi sentivo però attrezzato dai molti anni di approfondimenti specifici e dall'allenamento costante alla scrittura che mi dava la partecipazione a blog letterari di un "certo qual livello", e di notevole animosità.
Naturalmente non sono la persona più adatta a descrivere tale progetto editoriale (riassunto al meglio da alcuni suoi libri successivi) al quale partecipavano personaggi accademici che erano suoi amici personali, complementati da un drappello un po' disparato di "giovani", fra i quali io.
Non ho un ricordo molto piacevole dei tre ponderosi articoli che Renato, nel corso di circa sei anni, riuscì a convincermi a comporre. Ad una rilettura, mi ritrovo piuttosto "pesante", e forse anche leggermente alienato, si trattava però di anni faticosi.
Ho invece un bellissimo ricordo delle volte in cui, rientrando alla sera a Venzone dalla mia sede di lavoro di Udine, deviavo per Buja diretto alla villa di Renato, che mi accoglieva nel suo studio. Dopo avergli risolto qualche problema informatico, dopo avere delineato i passi successivi del progetto che mi riguardavano, incominciava sempre una lunga, piacevolissima, sincera e ardita discussione sopra i nodi teorici dell'arte. Mi offriva quasi sempre delle buonissime birre speciali, che a se stesso negava, circostanza che contribuiva certo a sciogliermi la favella.
Tramite questi scambi, ho avuto modo di intuire fino a quale nucleo teorico possa convergere un pensiero razionale in materia artistica - per poi fatalmente scivolare e divergere sul nucleo centralissimo, che adesso sospetto esser proprio il celebre Nulla.
Ogni tanto mi parlava del mondo dei galleristi, a lui ben noto. Ma se, più o meno scherzosamente, gli chiedevo di mettermi in contatto con qualcuno di loro, rispondeva con un sorriso sornione ed una sorta di declamazione ironica: "Ma cosa vai a cercare quella gente, che non capisce proprio niente di arte? Abbiamo ben altre cose da fare, NOI!".
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My personal acquaintance with Renato Calligaro, which then developed into a beautiful friendship and collaboration, came about through a cycle of his public lectures on art, held in University of Udine premises. This collaboration implied for me a decisive shift toward theoretical questions, for which I felt equipped by many years of specific study and by the constant writing training that participation in literary blogs of "a certain level" and considerable animosity gave me.
Naturally, I am not the most suitable person to describe this editorial project (best summarized by some of his subsequent books) in which academic figures who were his personal friends participated, complemented by a somewhat disparate group of "young people," among whom was I.
I don't have a very pleasant memory of the three ponderous articles that Renato, over the course of about six years, managed to convince me to compose. Upon rereading, I find myself rather "heavy," and perhaps also slightly alienated - though those were difficult years.
I do have a beautiful memory of the times when, returning in the evening to Venzone from my workplace in Udine, I would detour to Buja headed to Renato's villa, where he would welcome me into his study. After solving some computer problem for him, after outlining the next steps of the project that concerned me, a long, most pleasant, sincere and bold discussion about the theoretical knots of art would always begin. He almost always offered me excellent special beers, which he denied himself - a circumstance that certainly helped loosen my tongue.
Through these exchanges, I was able to glimpse toward what theoretical nucleus rational thought in artistic matters can converge - only to then fatally slip and diverge on the most central nucleus, which I now suspect is precisely the famous Nothingness.
Every now and then he would tell me about the world of gallery owners, which he knew well. But if, more or less jokingly, I asked him to put me in contact with some of them, he would respond with a sly smile and a sort of ironic declamation: "But why go looking for those people, who understand absolutely nothing about art? WE have much better things to do!"